Qualche giorno fa, mi sono imbattuta nella lettura di una storia che vorrei condividere qui con voi perché può insegnarci tanto, anche oggi.
Un anziano re mise alla prova i propri figli per vedere chi fosse degno del trono. Andate, disse, e trovate la sposa che porterà la corona con voi. I tre partirono a spron battuto in cerca della fortunata consorte. Il primo figlio tornò con una quantità di cammelli e oro e argento impressionante, unitamente a quella che aveva scelto come sua principessa. Il secondo, visto il successo del fratello, decise di puntare tutto sulla nobiltà d’animo e portò a corte una poetessa, famosa per arte e bellezza. Il terzo, venuto a sapere dei due fratelli, decide di spingersi lontano lontano, tanto da finire in una terra ben coltivata e ben tenuta. Ebbe appena il tempo di interrogarsi di chi mai fosse la suddetta distesa che un’orda di scimmie lo catturò per portarlo in una prigione angusta dentro a quello che pareva un palazzo. La vigilanza delle scimmie era strettissima pertanto risultava impossibile scappare. Tra lamenti di altri detenuti, dolori e afflizione senza fine, quando cominciava a perdere ogni speranza di venirne fuori, una voce gli si rivolse così: << Principe, accetteresti di sposarmi?>>. La voce proveniva dal buio pertanto non era possibile vedere di chi fosse ma la soavità e la bellezza della stessa era tale che il Principe rispose di sì, era pronto a farlo. Dette queste parole, avvertì sul cuore un sigillo come di fuoco. Passò la notte e la mattina presto le guardie vennero a prelevarlo dalla prigione per lavarlo e prepararlo per le nozze. Una volta pronto, fu portato nella sala delle cerimonie dove un sacerdote e due testimoni lo attendevano insieme alla sposa dal corpo slanciato e completamente avvolta in spessi veli. La cerimonia si svolse come da tradizione ma, quando arrivò il momento di proferire la promessa, la sposa sollevò il velo e il Principe si trovò di fronte… una scimmia. Lo shock lo travolse. Come un lampo, gli balenò nella testa di fuggire. Poi, però, si riprese e pensò: << Ho promesso di sposarla>>. Allora, raccattando tutto il coraggio che aveva in sè, si avvicinò, dunque, per apporre la firma al contratto. E, proprio mentre firmava, la scimmia si trasformò in una bellissima donna. Il Principe, allora, cadde in ginocchio e la Principessa così gli parlò: <<Mio Principe, noi tutti qui siamo esseri umani presi sotto il giogo di una maledizione che ci meritò la nostra incostanza e attendevamo di essere liberati dalla fonte di ogni liberazione: la fedeltà di un uomo alla parola data>>.
Questa storia termina come è facile immaginare.
Ma la nostra, di storia? Possiamo dirci uomini e donne di parola, anche quando costa, anche e soprattutto quando in ballo c’è l’impensabile, perché la nostra parola non può che essere conforme a quel Logos (che significa “parola”, appunto) che è fin da principio ed al Quale abbiamo, con la Cresima, confermato la nostra fedeltà? Il mondo ci riempie di parole che, il più delle volte, non sono di parola. Dio, al contrario, è stato ed è di parola. Sulla Sua fedeltà possiamo contare. Sulla nostra? Fino a che punto? Non è una domanda retorica. Serve che ce lo chiediamo, guardandoci dentro con sincerità. Fino a che punto sono disposto/a a essere fedele a Dio? Questa domanda mi risuona dentro ogni volta che leggo del martirio di qualche testimone della fede…
Nell’ultimo libro di Rod Dreher, “La resistenza dei cristiani. Manuale per cristiani dissidenti” c’è materia per riflettere e fare nostra questa domanda. Leggetelo, se non l’avete già fatto, e meditatelo. Scoprirete cosa ha voluto dire, in tempi non lontani, essere di parola. Amen
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