Ecco, oggi parliamo di due “T” che ci serve conoscere più da vicino, due “T” che sono due architravi della nostra storia.
La prima “T” sta per Tommaso, san Tommaso d’Aquino, chiamato anche il “bue muto di Sicilia”: lui che era aristocratico, figlio di conti ma che aveva strenuamente lottato per entrare in un ordine di mendicanti (la famiglia lo fece addirittura prelevare dal monastero con uno stratagemma per rinchiuderlo in un castello per due anni! vinse lui, alla fine :-), lui che era grande e grosso con voce possente ma occupava uno spazio silenzioso, lui che era la mente più brillante di tutto il Medioevo ma sapeva mettersi in ascolto anche delle cose più semplici…
La seconda “T” sta per Teresa, santa Teresa di Lisieux, la santa della “piccola via”: Teresa aveva capito che la santità è una meta molto più vicina di quello che, umanamente, siamo portati a pensare, è fatta di tutti quei piccoli gesti e tutte quelle nostre occupazioni quotidiane a patto che vengano fatte per amore di Dio.
Ora, pensandoci bene, i due architravi sono di grande esempio per la nostra epoca malata di una spinta all’eccellenza non per spirito di servizio ma per spirito di vanagloria, vanagloria che porta ad un antropocentrismo malsano, in cui l’uomo si definisce in funzione del successo raggiunto, condannandosi, così, ad essere parte di un circo in cui vengono richieste performances sempre più estreme in nome di roboanti obiettivi da raggiungere. E chi non ce la fa? E’ fuori dal circo, tout court. Ecco, quando ci accorgiamo di aver anche solo un piede nel circo di cui sopra, ripeschiamo le due “T” e facciamo lavorare in noi il loro esempio, sapendo che l’umiltà è la porta per la felicità autentica perché ci riporta nella dimensione dell’umanità più delicata, fresca e osmotica, quella che sa di non esaurirsi in se stessa, quella che è aperta a Dio e, di conseguenza, al prossimo. Quando Gesù ci ha lasciato detto ” imparate da Me che sono mite e umile di cuore” ci ha lasciato il segreto del successo autentico, quello umanamente sostenibile ed, anzi, fecondo. Mitezza e umiltà, a bene vedere, sono i due ingredienti della virtù cardinale della fortezza che ci aiuta a reggere le frustrazioni dell’insuccesso senza sentirci demoliti dentro, cogliendo, al contrario, ogni occasione come opportunità di crescita. Mitezza e umiltà sono, allora, espressione di forza interiore, capace di renderci resilienti di fronte alle difficoltà, di riuscire a guardare oltre l’ostacolo, vedere le cose come quando si vola e dall’aereo si guarda giù… tutto è più piccolo e ridimensionato!
E, allora, cari Oranti, chiamiamo al nostro fianco San Tommaso d’Aquino e Santa Teresa di Lisieux affinché, oltre ad essere umili, ci insegnino anche a vivere con il loro stesso senso dell’umorismo, soprattutto nelle situazioni più complicate. Perché? Perché riuscire a ridere quando si è sotto pressione è un tocca sana per il nostro corpo (scarichiamo energia negativa) e per la nostra anima (viviamo con sana leggerezza il nostro essere piccoli fidandoci ed affidandoci a Dio). E poi perché, dice un proverbio, un santo triste, è una tristezza di santo!
Avanti tutta, allora Oranti, verso la santità qui e ora! Amen.
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